LA CANZUNCELLA

dal libro di racconti di Anna Montella
"e guardo il mondo da un oblò" per la Helicon Editore di Arezzo
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LA CANZUNCELLA



Ci sono giorni in cui tutto diventa più faticoso rispetto ad altri giorni. Oggi è stato uno di quelli, decisamente difficile con strani personaggi che hanno costellato i vari momenti della mia giornata. 
Sembrava una congiura contro di me. 


Ero al lavoro alle prime luci dell’alba, quando si lavora meglio e i colori sono più naturali, e mi ha raggiunto uno strano personaggio che ha esordito facendomi sobbalzare: 
- Pittore ti voglio parlare mentre dipingi un altare.
Mi sono girato a guardarlo di sfuggita e gli ho risposto con molta gentilezza, mentre gli davo nuovamente le spalle per tornare a dipingere: 
- Adesso non è possibile davvero, altrimenti mi deconcentro. Dipingere un altare è una cosa impegnativa.
Al che lui ha risposto di rimando, dopo alcuni istanti di silenzio:
- Fammi un angelo negro.
Sono rimasto interdetto con il pennello a mezz’aria e con pazienza gli ho risposto senza voltarmi: 
- Non è possibile. Mi hanno commissionato solo angioletti rosei con riccioli biondi. Non posso fare di testa mia.
Ho ripreso a dipingere pensando che fosse finita lì ma dopo alcuni minuti di silenzio arriva la frase lapidaria, addirittura in rima: 
- Se tu dipingi con amor perché disprezzi il mio color!
Questa volta mi sono girato per guardarlo meglio in viso, ma il sole che filtrava dalla vetrata in alto me lo faceva vedere sfumato, una figura indistinta. 
Gli ho risposto piccato: 
- Ma io non disprezzo nessuno, perché mi dice questo? Sono un povero pittore che deve guadagnarsi da vivere e deve fare quello che gli dice il committente. 

Nessuna risposta. 

Ho continuato a dipingere dandogli le spalle, con un po’ di apprensione, e quando qualche tempo dopo mi sono girato non c’era più. Ho tirato un respiro di sollievo e ho deciso di fare una pausa per riprendere il filo dell’ispirazione che l’intrusione di quello strano personaggio aveva spezzato. 
Mi sono avvicinato alla porta per prendere il thermos con il caffè che mi sono portato da casa e nel vano, in controluce, si è delineata all’improvviso una figura di donna che mi ha apostrofato con delle parole senza senso: 

- Sono una donna non sono una santa, non tentarmi non sono una santa!

Sono rimasto interdetto con il thermos ancora intonso e lei ha rincarato: 

- Non mi portare nel bosco di sera, ho paura nel bosco di sera…

A quel punto ho cominciato ad aver paura io. Il posto dove sto lavorando è isolato e pochissimo frequentato. 
Questi strani personaggi che si stavano avvicendando cominciavano a diventare inquietanti. Uno passi, ma due nel giro di un’ora erano davvero una folla. 
Per tranquillizzare la strana donna che pareva parecchio agitata le ho risposto: 

- Stia tranquilla signora, non mi permetterei mai di tentarla o di portarla in un bosco. Del resto è giorno, vede? C’è tanta luce, si tranquillizzi.

Lei ha risposto di rimando: 

- Fra tre mesi saremo a maggio…

Maggio? Ma siamo già ad aprile, fra tre mesi saremo a luglio non a maggio. Ho perfino contato i mesi sulle dita. Stavo lì lì per dirglielo quando mi è scomparsa sotto il naso. Sono uscito fuori dalla porta, ho guardato a destra e a sinistra, ma nulla. Di lei nessuna traccia. 
A quel punto ero indeciso se tornare a lavorare sul fondo della navata, con il rischio che qualche male intenzionato arrivasse non visto alle mie spalle, o se andarmene e tornare il giorno dopo con un aiutante che, più che aiutarmi, mi guardasse le spalle. I posti isolati mi hanno sempre ispirato, ma quei due figuri avevano dato una luce sinistra a quel luogo così tranquillo fino al giorno prima e mi avevano rovinato la giornata e l’ispirazione. 
A malincuore mi sono risolto a prendere le mie cose per tornare il giorno successivo. Ho messo a posto colori e pennelli, preso la sacca con thermos e pranzo e mi accingevo a girare il chiavistello nella serratura quando una voce possente alle spalle mi fa sobbalzare: 

- Prendi questa mano zingara!

Oh Gesù d’amore acceso! E chi era adesso? 

Mi sono girato con molta cautela e mi sono trovato davanti un donnone alterato che continuava ad insistere tendendomi perentoriamente la mano: 

- Prendi questa mano zingara! 

Ohibò zingara … semmai zingaro – ho pensato tra me e me - visto che sono maschio. Ho focalizzato la mia immagine riflessa in uno specchio ideale, giusto per capire il perché quel donnone mi avesse scambiata per una donna, e per di più anche zingara, ma non mi è parso che la mia figura potesse dare adito a tali dubbi. Ho i capelli corti a spazzola e, quando lavoro, vesto con una tuta comoda e non certo con gonne zingaresche. 
Ho aperto la bocca per esplicitare questo mio pensiero ad alta voce, ma il donnone ha ripreso con tono lamentoso che cresceva d’intensità: 

- Dimmi pure che destino avròòòòò 

Non so se è stata l’assurdità della situazione o tutte quelle “o” accentate e strascicate a mettermi le ali ai piedi. Senza fermarmi a chiedere o dare spiegazioni mi sono dato alla fuga lasciando anche la sacca col thermos, il pranzo e il pullover, che avevo posato a terra per chiudere più comodamente il portone con quel pesante chiavistello d’altri tempi. 
Mi spiaceva per il pullover, era un regalo di una mia vecchia fiamma che portavo sempre nella sacca alla bisogna, ma la situazione non dava adito a ripensamenti e ho continuato a correre. 

Ho rallentato la corsa solo in prossimità del paese, quando ho cominciato ad intravedere le prime case. Avevo il fiatone. Mi sono appoggiato con le mani ad un muro per cercare di far tornare il respiro a ritmo regolare prima di entrare in paese in maniera dignitosa quando…. 


- Puorte o cazone cu 'nu stemma arreto…


Mio malgrado, ho portato la mano sul retro dei pantaloni cercando l’improbabile stemma anche se sapevo che non poteva essercene alcuno. 

- Na cuppulell’ cu à visier’aizata

No! No! No! Anche qui! 
Mi sono girato con gli occhi iniettati di sangue e il respiro corto e quello ha rincarato: 

- Tu vuò fa l' americano!

A quel punto non ci ho visto più e gli son saltato addosso. Io mi spacco la schiena dall’alba al tramonto e sentirmi dire che voglio fare l’americano è davvero troppo! 
Ho cominciato a tempestarlo di pugni ma quello rispondeva colpo su colpo, pareva quasi che avesse degli zoccoli al posto delle mani, e alla fine mi son ritrovato steso a terra con un peso insopportabile sullo sterno. 

- Ecco un’altra vittima delle anime inquiete. Le melodie del passato che si rifiutano di cadere nell’oblio e si manifestano all’improvviso nel cervello dei malcapitati con un motivetto tormentone prendendo perfino sembianze umane o di animali. E stavolta hanno scelto il mio povero asino! 

Ho sentito quelle parole da una distanza infinita prima di perdere i sensi. 
Dopo, al mio risveglio in ospedale, ho saputo che a parlare così era stato il contadino proprietario dell’asino che non ne voleva sapere di alzarsi dal mio petto dove si era accomodato, dopo avermi assestato un paio di calci con gli zoccoli posteriori. 
Il suo povero asino! Mi aveva devastato a suon di calci e il povero era lui! Avrei dovuto chiedergli i danni una volta uscito dall’ospedale. Ecco cosa avrei fatto! Altro che povero asino! Grato, comunque, per essere ancora tutto intero e di trovarmi in un ambiente protetto, dopo che l’infermiera mi aveva messo al corrente della dinamica degli eventi, mi sono girato verso la finestra con un sospiro dando le spalle alla porta. Le domande e le risposte le avrei cercate più tardi, adesso volevo solo godermi quel momento di tranquillità. Il cigolìo della porta mi ha avvertito che qualcuno era entrato nella stanza. Ho pensato fosse l’infermiera che aveva dimenticato qualcosa e sono rimasto coricato sul fianco senza pensieri. 

Poi quelle parole canticchiate con accento malizioso: 

- Il pullover che m'hai dato tu… 




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