IL NEMICO GIOCA IN CASA
«Muori senza morire e vivrai per sempre »
Lao Tze
Il suo mondo era crollato. Come avrebbe potuto continuare a vivere ora che sapeva?
Tutto era cominciato due sere prima.
Era andato a portar fuori la spazzatura come ogni sera e levando lo sguardo all’orizzonte, come faceva sempre, si era accorto che l’orizzonte non c’era! Si era sentito vacillare come sull’orlo di un abisso e l’abisso era veramente lì, a due passi, che lo guardava con occhi ciechi e la bocca aperta e sorridente. Aveva fatto un balzo all’indietro. Che diavoleria era mai quella? Si era avvicinato con circospezione all’orlo del baratro che diventava sempre più sorridente e accogliente e, dando una sbirciata giù in basso, aveva visto … Un cinese che lo salutava con la mano! Era come se il cinese si trovasse sotto una enorme lente di ingrandimento e lo vedeva vicinissimo, come fosse a pochi metri invece che a centinaia di migliaia di kilometri. Questa volta si gettò precipitosamente all’indietro finendo a gambe all’aria sul terreno battuto, ansimando come un cane dopo una lunga corsa.
Adesso arriva l’infarto - si disse il sig. Doggerty – tenendosi una mano sul petto quasi a fermare il galoppo che sentiva nel torace, pregando che tutto tornasse com’era sempre stato. Chiuse gli occhi e li riaprì, ma niente da fare.
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L’abisso era sempre lì che lo chiamava invitante. La cosa strana, ripensandoci col senno del poi, più che l’abisso e la sparizione dell’orizzonte, ciò che gli faceva davvero paura era rivedere il cinese! Ma non certo perché avesse qualcosa contro i cinesi, che erano brava gente come tanti altri benché, in effetti… nel suo immaginario il pericolo giallo della famigerata guerra fredda si era, poi, concretizzato in una invasione “pacifica” e, ormai, c’erano cinesi dappertutto meno che dove avrebbero dovuto essere. Tuttavia se il cinese fosse sbucato da dietro l’angolo gli avrebbe augurato una buona serata e avrebbe continuato per la sua strada senza alcun problema. La cosa orrida, dal suo punto di vista, consisteva nel fatto che, a quanto pareva, era rimasto un unico cinese dall’altra parte del mondo ed era toccato proprio a lui! Già. Proprio l’altra parte del mondo. Come in quella teoria ipotetica, che poi aveva assunto i connotati di una leggenda metropolitana, secondo la quale “in caso di un incidente ad una centrale elettrica nucleare, in cui ci fosse la fusione del nocciolo del reattore, niente riuscirebbe a fermarlo, fonderebbe fino alla base della centrale e oltre, perforando la crosta terrestre, arrivando fino in Cina!”
Ecco! Lui aveva toccato con mano che la teoria non era ipotetica! Non ci era finito in Cina, ma la vedeva! E vedeva pure il cinese che lo salutava con la mano!!! Eppure non aveva bevuto un goccio in tutto il giorno e non fumava robaccia. Che stava succedendo allora? Quasi strisciando rientrò in casa chiudendosi l’uscio alle spalle e appoggiandosi, poi, con tutto il corpo alla porta come ad impedire al cinese di entrargli in casa. La sig.ra Doggerty lo guardò di traverso chiedendogli cosa ci facesse appoggiato alla porta in quel modo, pensando tra sé e sé che si era rammollito al punto che faticava anche a portar fuori la spazzatura. L’uomo bofonchiò qualcosa e si mosse circospetto andando verso la poltrona posizionata davanti al televisore, dove era seduto fino a poco prima della infelice sortita in cortile.
Si sedette come un automa.
Le immagini della tv gli scorrevano davanti agli occhi, ma lui non vedeva nulla.
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Il suo pensiero era teso spasmodicamente verso il retro della casa dove c’era il cinese che lo salutava dall’altra parte del mondo. Ora che ci pensava, mentre da lui era notte, dal cinese doveva essere giorno perché alle spalle del tizio asiatico che lo salutava si intravedeva un cielo azzurro con qualche nuvola. Certo – si disse in tono quasi discorsivo - il fuso orario. Sobbalzò a quel pensiero “normale” e si alzò precipitosamente dalla poltrona. Non era normale! La Terra era rotonda! E l’orizzonte irraggiungibile. Non era normale per nulla che l’orizzonte fosse scomparso e che lui avesse potuto guardare giù come se, invece che su un pianeta rotondo, si trovasse su un pianeta tipo piattaforma spaziale.
- Gli alieni!!! Sono arrivati gli alieni!!! -
Il pensiero si fece strada nella sua mente prendendo a spintoni ogni traccia di ragionevolezza. Emise una specie di squittìo e la moglie lo guardò torva, sollevando lo sguardo dalla rivista che stava leggendo con gli occhiali di traverso e il fumo della sigaretta che le faceva socchiudere gli occhi, dandole l’aria di una sinistra tartaruga. Lui si ricompose, spense la tv e, con tutta la calma che gli riuscì di racimolare, comunicò alla consorte che andava a letto. Salì le scale in maniera composta e senza affanno ma, una volta in camera, si precipitò alla finestra che dava sul retro e scrutò nella notte. La luce flebile delle stelle rischiarava a malapena i contorni delle case limitrofe, ma lui vedeva, come fosse fosforescente, l’orlo del baratro dove avrebbe dovuto trovarsi la casa del vicino e poi… La casa del vicino!!!!
Dov’era finita? E dov’era finito il vicino??? Fu troppo per il pover’uomo che stramazzò a terra senza un lamento. Quando si risvegliò era… Altrove.
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Dove, non riusciva a capirlo bene, ma era sicuramente un posto diverso da quello in cui si era addormentato o, meglio, era diverso dal posto in cui era stramazzato a terra ammaccandosi un gomito e il ginocchio. Fece un movimento brusco sentendo una fitta che dal ginocchio si irradiava alla caviglia e cominciò a saltellare su un piede. Si trovava in un luogo indefinibile, lattiginoso dove non si vedeva ad un palmo dal naso.
Ad un certo punto sentì uno spostamento d’aria e, velocissima, la sagoma di un grosso coniglio gli sfrecciò accanto e lo superò perdendosi nella nebbia. Rimase immobile per lo spavento perché il coniglio era troppo grande per essere solo un coniglio e poi gli pareva che… portasse un panciotto! Si premette la mano sulla bocca per non emettere suoni, caso mai il coniglio “alieno” fosse tornato sui suoi passi. Non si era ancora ripreso dallo spavento che un altro tornado gli sfrecciò accanto, con una specie di cilindro in testa. Una figura indefinibile che si muoveva scomposta e cianciava di compleanni.
In qualche modo sentire qualcuno di presumibilmente umano che parlava la sua lingua lo rincuorò, per quanto potesse sentirsi rincuorato un pover’uomo che aveva visto sparire l’orizzonte con la casa del vicino e un cinese che lo salutava dall’altra parte dell’emisfero, senza contare il fatto che ora si trovava in un luogo che sembrava un sobborgo fantasma di Londra con un’atmosfera da tregenda degna di Jack lo squartatore. Per qualche minuto non sentì altro che il rombo del suo cuore nelle orecchie, un rombo che in altro momento avrebbe pensato essere l’anticamera di una sincope, ma in quel momento diventava quasi rassicurante, e stava quasi per ricominciare a camminare quando una voce sibilante gli raggelò il sangue nelle vene.
– Tu! Cosa sei tu? –
Fu davvero troppo per il poveretto che scappò urlando e mulinando le braccia per liberarsi dagli eventuali pericoli che non riusciva a vedere. Come era prevedibile, cadde malamente precipitando in una sorta di voragine che sbucò dal nulla sotto i suoi piedi e planò direttamente sul suo letto, nella sua stanza mentre gli pareva di sentire una voce in lontananza che diceva:
- Non c’è miglior posto della propria casa. –
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Scosse la testa per scacciare la voce di cui non comprendeva l’origine e il suo sguardo mise a fuoco le due figure presenti nella stanza. La sig.ra Doggerty e il medico, che lo aveva curato altre volte in passato, bisbigliavano tra loro leggermente in disparte. Captò la parte finale del loro discorso e gli sembrò di sentir nominare una certa Dorothy che era andata in visita in un paese che si chiamava Oz. Sicuramente aveva udito male. Non c’era nessun paese da quelle parti che si chiamasse Oz. Vedendolo sveglio gli si avvicinarono premurosi e la moglie gli disse che lo aveva trovato svenuto sul pavimento e aveva chiamato il vicino, che era appena andato via, per farsi aiutare a metterlo a letto e poi aveva chiamato il medico. A sentir nominare il vicino, il sig. Doggerty fece il gesto di alzarsi per verificare dalla finestra se l’orizzonte sparito e il cinese dall’altra parte dell’emisfero fossero frutto della botta che doveva aver preso alla testa cadendo ma, fortunatamente, glielo impedirono. Non avrebbe retto alla vista del grosso coniglio “alieno” che, con un cappellino cinese, correva in tondo nel suo cortile guardando un orologio a forma di cipolla e gridando – È tardi! È tardi! -
Il medico si congedò con le ultime raccomandazioni e la sig.ra Doggerty gli fece strada per offrirgli un thè, parlando di festeggiare un non meglio precisato compleanno. Mentre le voci sfumavano in lontananza il malato si rese conto che il medico aveva un cilindro a tubo in testa che non ricordava di avergli mai visto indossare in altre occasioni.
Scivolò nel sonno senza rendersene conto e sognò conigli che lo inseguivano, dischi volanti con equipaggi alieni dai tratti asiatici e feste di compleanno della sua infanzia che finivano sempre in lacrime, perché i regali non arrivavano o erano diversi da quelli desiderati.
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Si svegliò, comunque, ristorato e decise di contravvenire alle disposizioni del medico e alzarsi dal letto. Non voleva confessarlo neppure a se stesso, ma ciò che voleva fare davvero non era alzarsi dal letto, bensì affacciarsi a quella finestra. Sapeva che era puerile e che tutto ciò che gli pareva d’aver visto era in realtà dovuto al trauma alla testa però… voleva affacciarsi alla finestra. Buttò giù le gambe dal letto e sentì una fitta al ginocchio, la testa sembrò girare vorticosamente, o era la stanza che girava? In ogni caso si rese conto che era meglio restare disteso e accantonò l’idea di affacciarsi. Scivolò nuovamente nel sonno e quando si risvegliò era ormai sera inoltrata. Aveva dormito tutto il giorno. Si ritrovò la moglie accanto senza averla neppure sentita arrivare. Sobbalzò avvertendone la presenza nella stanza in penombra e restò perplesso vedendo la cuffietta che lei portava sui capelli quasi candidi e che non ricordava di averle mai visto prima. Gli si avvicinò con una dolcezza che ormai da tanto tempo non gli riservava e un sorriso che si allargava su una bocca insolitamente grande. Il pensiero di una fiaba della sua infanzia gli sfiorò la mente e una strana prudenza lo trattenne dal dire : - Cara che bocca grande che hai! – Dal buio sbucò fuori una macchia indistinta, traslucente, e fece fatica a focalizzare il volto della ragazza sul cui pallore niveo spiccavano due labbra rosse come una ferita. La moglie, intanto, gli presentava la nuova arrivata dicendo che Blanche si sarebbe presa cura di lui in quei giorni in cui era allettato, perché a lei risultava difficoltoso fare su e giù per le scale.
La ragazza gli si avvicinò senza sorriso e, dopo aver preso posto sulla sedia accanto al letto, in silenzio, cominciò a sbucciare una mela per la cena del malato. Un brivido percorse la schiena del sig. Doggerty. Dopo aver spilluzzicato la parca cena a base di mela scivolò nuovamente in un sonno agitato. Si svegliò più volte durante la notte, ma non ebbe il coraggio di guardare in volto la sua occasionale badante che sentiva incombente nel buio della stanza fiocamente rischiarata dal riverbero della luna che filtrava tra le tende. La luce livida dell’alba gli riportò un po’ di ottimismo. Guardò la ragazza addormentata leggermente riversa sulla sedia. Nel sonno la sua bellezza algida era meno inquietante di quando l’aveva vista sveglia e si ritrovò a pregare quel Dio, che spesso dimenticava, perché la donna continuasse a dormire. Con molta cautela provò a mettersi seduto e, sentendosi abbastanza in forze, mise fuori le gambe dalle lenzuola dandosi lo slancio per scendere dal letto. Uno scricchiolio lo fece immobilizzare sudando freddo. Falso allarme. Erano le sue giunture che scricchiolavano. La ragazza continuava a dormire. Con aria da cospiratore e camminando in punta di piedi, senza l’ausilio delle pantofole, si portò finalmente nei pressi della famigerata finestra. Scostò le tende e guardò nel cortile. Ora se vi raccontiamo ciò che il pover’uomo vide con i suoi propri occhi, forse finiremmo anche noi nel posto in cui venne portato il sig. Doggerty quello stesso giorno, perciò preferiamo che a raccontarlo sia lui con la sua stessa voce, così come lo ha raccontato allo psichiatra e alla Commissione della Casa di Cura in cui venne tradotto quella stessa mattina.
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Il racconto del sig. Doggerty
1° parte
Mi avvicinai alla finestra con una sensazione incombente di tragedia, anche se mi dicevo che era tutto frutto della caduta e che dovevo star tranquillo, ma giammai avrei immaginato di vedere ciò che poi in effetti ho visto. Il cortile brulicava di figure vagamente familiari, di cui avevo forse sentito parlare chissà quando e chissà da chi, ma che non avevo mai veduto prima di allora. C’era una bella ragazza bionda con un fiocco azzurro seduta ad un tavolino da thè e un’aria maliziosa sul volto infantile. Di fronte a lei, dandomi le spalle, era seduto un tizio con uno strano cappello. Versavano una bevanda ambrata in diverse tazze e cantavano sguaiatamente. In un angolo del cortile c’erano dei soldati – che Dio mi aiuti - a forma di carta da gioco e tre porcellini intenti a costruire una casa con i materiali più disparati, dalla paglia ai mattoni, mentre mia moglie, la sig.ra Doggerty, con cuffietta sui capelli quasi candidi e un ghigno sul volto, soffiava come un tornado verso la casa di paglia avventandosi, poi, su un porcellino che spariva tra le sue fauci.
No! La sua non era più una bocca come ce l’abbiamo io e voi Signori della Commissione! Erano proprio delle fauci come quelle di un lupo o di altra bestia feroce! Intanto il tizio col cappello si girava e mi guardava dal basso verso l’alto facendomi un cenno e in lui riconoscevo il medico che mi aveva curato il giorno prima. Non avevo ancora pienamente realizzato ciò che stavo vedendo quando, da un angolo del cortile, sbucava fuori una figura piccola, vestita di rosso e con cappuccio in tinta che le copriva il volto. Mia moglie, la sig.ra Doggerty, abbandonando i porcellini al loro destino la raggiungeva con un largo sorriso sulla bocca, tornata quasi normale anche se sempre troppo grande, e si incamminava con lei mettendole una mano sulla spalla e girando l’angolo, sparendo, così, dalla mia vista. Nel frattempo i soldati a forma di carta da gioco erano stati raggiunti da una strana regina, anch’essa di carta, e tutti insieme si avventavano sulla fanciulla bionda che scappava via ridendo e cantilenando: Mi taglierà la testa! Mi taglierà la testa! Il medico col cappello continuava a mescere la sostanza ambrata cantando scompostamente come ad una festa di compleanno per ubriachi. Per il cortile saltellava un burattino dal naso spropositatamente lungo inseguito da una donna con i capelli turchini mentre una carrozza a forma di zucca, trainata da 4 topi bianchi, faceva il suo ingresso trionfale e una specie di minuscolo spiritello femminile, con i capelli biondi raccolti in uno chignon e le alucce trasparenti come quelle di una libellula, svolazzava beata di qua e di là. Sul fondo della scena si intravedevano figure che sbucavano dal baratro dove avrebbe dovuto trovarsi la casa del mio vicino. Sembrava carnevale.
Il racconto del sig. Doggerty
2° parte
Tra gli altri mi è sembrato di riconoscere Giove Pluvio, per via dei fulmini in una mano, e il Ciclòpe con un occhio solo delle avventure di Ulisse, così come ce lo raccontavano a scuola. Se non fosse che la scena si svolgeva nel mio cortile, dove era pazzesco che ci fossero figure di quel genere, era quasi piacevole, come stare a teatro. Mi ero talmente immerso in ciò che stavo vedendo che avevo completamente dimenticato la mia improvvisata badante. Quando me la sono ritrovata alle spalle con quella bocca rossa simile ad una ferita sul volto esangue sono scappato via urlando giù per le scale catapultandomi, mio malgrado, in cortile. Era l’unico modo per uscire dalla casa.
Sparito tutto!
Niente porcellini muratori, niente carte da gioco/soldato, niente carrozze a forma di zucca trainate da topi… Niente. Non c’era più nulla se non il solito cortile con le solite cose ordinarie che ci sono in un cortile.
La casa del vicino era lì dove doveva essere e il vicino era perfino affacciato alla finestra al primo piano e fumava una specie di calumet. Non sapevo che fumasse. Gli ho fatto un cenno di saluto e l’ho guardato schermando gli occhi dal sole appena sorto con la mano e ringraziando il Cielo che tutto fosse tornato alla normalità. A quel punto avrei anche potuto pensare di avere avuto un’allucinazione se non fosse che il vicino, d’improvviso, è uscito dalla finestra cominciando a strisciare sul muro per raggiungermi. Con raccapriccio ho visto che il suo corpo si era trasformato in quello di un grasso verme e il suo volto, man mano che si avvicinava, assumeva dei tratti vagamente asiatici.
Un pover’uomo non può accettare tutto questo senza reagire Signori della Commissione e così ho preso l’ascia, che è sempre al centro del cortile accanto ai ceppi da preparare per il camino, e ho cominciato a spaccare tutto finché non sono arrivate quattro figure vestite di bianco a portarmi via, ed eccomi qui!
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La Commissione, seduta al lungo tavolo in quercia, aveva ascoltato il racconto con aria comprensiva e partecipativa assentendo con la testa o scuotendola a seconda del caso.
Il sig. Doggerty si era sentito quasi rassicurato dal loro atteggiamento e già accarezzava l’idea di tornare a casa quando la Commissione si alzò come un sol uomo e, orrore! Alcuni di loro erano carte da gioco mentre gli altri avevano i piedi caprini o una coda di pesce!
E comprese…
Comprese che il mondo così come lo aveva sempre conosciuto non esisteva, la Realtà non esisteva. Il mondo era governato dalle leggi delle Fiabe che ci vengono raccontate fin dalla più tenera infanzia per prepararci, forse, a quello che sarà. Molti come sua moglie, la sig.ra Doggerty, il suo medico o il suo vicino erano passati dal sogno alla veglia in maniera indolore. Tanti altri, invece, erano maggiormente resistenti al condizionamento e arrivavano alla comprensione della Realtà in maniera improvvisa, traumatica, perduti e senza un ruolo da interpretare, come era successo a lui.
Per ciascuno di loro c’era la stessa, angosciosa domanda che si poneva lui fin dall’inizio di questa storia: - Come avrebbe potuto continuare a vivere adesso che sapeva? –
In realtà quello che il sig. Doggerty credeva di sapere era davvero ben poca cosa rispetto a ciò che in effetti era. Intanto “adesso che sapeva” non avrebbe più avuto il problema di continuare a vivere.
Non avrebbe più vissuto. Semplicemente.
E non perché qualcuno lo avrebbe eliminato. Si sarebbe eliminato da sé.
Il Sistema, intrecciato con la rete dei vasi sanguigni, con le sinapsi e i neuroni del cervello, con gli intestini, il fegato, i reni e il cuore, elimina le parti “malate” che lo minacciano.
Il nostro corpo non racchiude il Sistema, ne è intriso. Il Sistema siamo noi. Se contrasti il Sistema sei morto. Un assioma che determina il destino dei tanti signori Doggerty il cui sistema va in corto circuito facendo affiorare ciò che dovrebbe, invece, restare sepolto nella profondità della Psiche. L’uomo non deve sapere che la realtà che percepisce a livello conscio è completamente diversa dal marasma dell’inconscio collettivo in cui è immerso. Non deve sapere che la sua esistenza è preordinata fin dalla prima cellula allo stato embrionale.
L’uomo non deve mangiare i frutti dell’Albero della Conoscenza.
Il Sistema deve vigilare sul Sistema.
Nel sig. Doggerty, e in tanti altri prima e dopo di lui, il Sistema non aveva vigilato come avrebbe dovuto e adesso sarebbe stato il Sistema che avrebbe provveduto ad eliminare lo scompenso eliminando, di conseguenza, se stesso.
Il nemico gioca in casa.
Un nemico che viene da lontano, dalle stelle di una galassia che neppure riusciamo ad immaginare.
Timorosi di tutto e propensi a vedere un segno soprannaturale in ogni fenomeno assolutamente naturale, i terrestri primitivi furono gli ospiti ideali in cui nidificare, dando origine a quel mondo onirico così radicato nell’immaginario e nella parte più oscura della Psiche.
“… La loro origine è ignota e si riproducono in ogni tempo e in qualunque parte del mondo”.
Dei dell’Olimpo, Eroi e Semidei, Argonauti, Regine di carta e Cappellai matti, Burattini di legno e Fate turchine, Belle Addormentate e Paesi delle Meraviglie, Fate e Streghe, Angeli e Démoni …
Immagini allegoriche di un mondo che non percepiamo ma in cui, di fatto, si svolge la nostra esistenza su un piano differente da quello in cui pensiamo di esistere.
La loro evoluzione è lenta, lo stato larvale di queste creature nel nostro sistema/corpo può durare centinaia come migliaia dei nostri anni finché, trasferendosi da un sistema deperibile all’altro, da una mente all’altra, non sono pronte a prendere il posto dell’ospite, come era successo per il medico, per il vicino e per la stessa sig.ra Doggerty. Prendere coscienza, come era avvenuto per il sig. Doggerty, prima che l’organismo ospitato fosse maturo al punto giusto da prendere il posto dell’ospite, equivaleva condannare a morte il sistema.
"… Radicati nell’inconscio e nell’immaginario collettivo sono gli Archetipi che danno vita a miti, religioni e filosofie che influenzano, caratterizzano e condizionano, poi, intere nazioni ed epoche storiche…”
Favole che ci raccontano (o ci raccontiamo?) fin da quando prendiamo coscienza del mondo che ci circonda. Un mondo dove pensiamo di vivere da uomini in un mondo di uomini ma che, in realtà, è solo una nostra proiezione mentale. La Realtà che conosciamo, di fatto, non esiste se non nei meandri della nostra mente dove altri hanno creato per noi una sorta di giardino recintato in cui sostare, ignare comparse, nell’attesa che il bruco, letteralmente nascosto dentro di noi, spieghi le ali e diventi farfalla.
E ci viene in mente la frase attribuita al filosofo Lao Tse (Laozi) la cui figura leggendaria, mitizzata e divinizzata, risulta essere controversa anche per quanto riguarda la sua effettiva esistenza.
«Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla».
Frase, o aforisma, che noi, gente del terzo millennio, come tanti altri prima di noi, ripetiamo fino alla noia senza forse comprenderne appieno il recondito significato? Chissà…